Guasti by Tribuiani Giorgia

Guasti by Tribuiani Giorgia

autore:Tribuiani, Giorgia [Tribuiani, Giorgia]
La lingua: eng
Format: epub
pubblicato: 0101-01-01T00:00:00+00:00


16

Distruggerti. Dovrei davvero distruggerti, amore?

Alle cinque del pomeriggio la stanza del fotografo era vuota, e il motivo di tanta desolazione si leggeva negli spruzzi di grandine che il vento scagliava a manciate contro la finestra, o nelle orme d’acqua che i pochi visitatori avevano lasciato tra la scala e la porta e che erano rimaste lì, sospese, prima di sciogliersi in profili indefiniti. Pioveva ormai da tutto il giorno. Il temporale era cominciato come uno scherzo, con una pioggia sottile e un arcobaleno sfumato nel cielo del mattino; poi le nubi avevano soffocato il sole come ceneri la fine di un fuoco, e prima di poter recitare un proverbio sul maltempo casalinghe e impiegati erano fuggiti sotto le tettoie, dandosi il cambio coi venditori di ombrelli: Giada li aveva osservati dall’auto mentre raggiungeva la mostra, e sui balconi aveva visto donne energiche ritirare i panni e tirar giù le serrande.

Novembre era arrivato nella capitale. Novembre con le sue file di macchine ferme al semaforo, con la rabbia e la disperazione che sfilavano un metro alla volta dietro i finestrini appannati. Novembre coi vestiti da asciugare col fon fino a farli fumare. Novembre grigia e gialla, sepolta dalla nebbia e dalle foglie secche, un limbo livido tra il calore dell’estate e quello del Natale.

Eppure per te non c’erano stagioni tristi, amore mio, tu eri sempre solare, ricordi? e Giada fermò dietro le orecchie i capelli crespi. Quanto dev’essere misero, quel collezionista, se crede di aver comprato l’uomo che eri. Dovrei distruggerti per questo: non per impedirgli di portarti via da me, ma perché non ti porti via da te, da quello che sei stato.

Eutanasia, fu il termine che subito scacciò. Ma lo ripeté poco più tardi ad alta voce, alla donna dello specchio, e cercandosi in quegli occhi capì che non c’era metafora nella sua idea di distruzione. Coprì il volto con le mani: nel buio vide quanto la luce aveva nascosto. C’era lei, nel buio, e c’era una pistola e c’era lui; non c’erano occhi rossi e incorniciati dal rimmel a cercare l’obiettivo, non una mano vibrante di terrore e risoluzione pronta a sparare il colpo, ma l’inquadratura di un film già iniziato da un pezzo: il proiettile che strappava via un occhio e frammenti di cervello e di carne dalla testa del suo uomo.

Un tuono la liberò da quell’orrore per riportarla nel bagno delle donne, ma quando sullo specchio si ripropose l’immagine dell’occhio cieco e del cranio sfondato, piegandosi sul lavandino Giada vomitò.

Vaffanculo, mormorò con il capo chino, una mano aggrappata al rubinetto, vaffanculo tutto, e un altro tuono coprì l’imprecazione. Poi a lavare ogni cosa arrivò l’acqua, acqua come quella che dal primo mattino l’aveva messa di cattivo umore, ficcandole in testa la parola eutanasia. Che stronzata. La distruzione è un fatto metaforico, è chiaro, spiegò allo specchio asciugandosi la bocca.

Ma continuò a pensare a quel colpo di pistola, nei minuti che seguirono, e per la prima volta fuggì, letteralmente fuggì via dalla mostra prima che la vigilante



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